L’incredibile storia di Aloe: la cagnolina bloccata sotto una coltre di catrame salvata da un gruppo di bambini.
Siamo tra le strade di Libertad. Città argentina nella provincia di Buenos Aires. In quel Sudamerica che subito porta alla mente i colori di paesaggi incontaminati, il folclore delle comunità, il richiamo a un mondo in bilico tra reale e immaginario, una vita spesso in povertà ma fatta anche di tradizioni variopinte e di estrema espressione personale e artistica.
Colori, per l’appunto, vivacità e brio.
Quello che è successo in una giornata di febbraio, però, ha a che fare con il nero.
Il nero è il colore che un gruppo di bambini ha visto in un angolo di Libertad. Il nero di una coltre di catrame, per l’esattezza.
Ma facciamo un passo indietro.
Ci sono dei bambini, c’è un vicolo e c’è un pallone. E il pomeriggio va così, a rincorrersi e a riprendere fiato, a calciare e a esultare ogni volta che i punti aumentano.
Poi, all’improvviso, alle loro gambe che saltellano dopo ogni goal, si aggiunge lo zampettio di un gruppo di cani.
Ed eccoli lì, bambini da una parte, cani dall’altra, tutto si ferma, il pallone smette di rotolare, nessun urlo, niente più mani al cielo per abbracciare il compagno che si è appena guadagnato il vantaggio.
C’è un guardarsi a vicenda, adesso, smorfie sul volto e un incredulo domandarsi; e ci sono code impazzite che fanno svolazzare la polvere del vicolo. I bambini si avvicinano, i cani iniziano a guaire. Sembra vogliano dire qualcosa, incitare, farsi ascoltare. Allora usano quello che hanno a disposizione: i gesti istintivi propri degli animali. Iniziano a camminare, vanno, si conquistano l’attenzione dei bambini e si fanno seguire.
Sembra una parata, una specie di processione bizzarra che va avanti tra discese, scalinate e curve.
Cani in prima fila, bambini alle loro spalle. Lingue penzolanti dai musi, respiro affannato, scarpe da ginnastica sulle pietre delle strade. Qualcuno si volta a seguirli con lo sguardo, qualcun altro si scansa per paura di essere colpito.
Si corre veloce e non c’è tempo per riprendere fiato.
Poi si fa tutto più lento, il passo torna ad essere regolare, le gambe tremano un po’, le orecchie dei cani si afflosciano e il gruppo si ferma in un angolo in penombra.
Qui c’è il nero, c’è nero dappertutto.
E c’è un profumo riconoscibile, quello che inali dopo che qualcuno ha disteso l’asfalto fresco. È catrame, quella pozza di nero. I cani annusano irrequieti, un bambino si avvicina piano. Dal catrame arriva un suono, e anche quel suono è qualcosa di riconoscibile: un lamento appena accennato, una richiesta d’aiuto rinchiusa in una bolla solidificata.
C’è Aloe, lì sotto, una piccola cagnolina immobilizzata. Sembra dormire indisturbata con una coperta nera troppo rigida.
I cani l’hanno ascoltata, riconosciuta e hanno capito di non avere gli strumenti per salvarla. Allora hanno chiesto a chi ne sa più di loro. I bambini. Loro l’hanno trovata, tranquillizzata con qualche parola e hanno capito di non avere gli strumenti per salvarla. Allora hanno chiesto a chi ne sa più di loro. Gli adulti.
Da qui, un bel po’ di persone sono arrivate in massa, con soluzioni, attrezzi, mente lucida nel non sprecare tempo. Polizia, vigili del fuoco, i volontari del Proyecto4Patas. Quell’angolo di Libertad è all’improvviso diventato affollatissimo. Bisognava fare qualcosa. E quel qualcosa consisteva in cinquanta litri d’olio e tanto, tantissimo sapone.
Aloe è stata staccata via dall’asfalto come quando stacchi via un chewgum vecchio da sotto il banco di scuola.
È stata portata in una clinica dove altre persone l’hanno pulita, accudita, rimessa al mondo.
Un po’ alla volta, Aloe ha riaperto gli occhi, fatto qualche passo incerto e annusato in giro.
C’era del colore, sotto tutto quel catrame; e adesso Aloe se ne sta lì, mezza spelacchiata e ancora impaurita, riconoscente ma senza capire esattamente verso chi esserlo, senza sapere che a salvarla è stata una specie di catena di montaggio, un chiedersi aiuto a vicenda, con tanto coraggio, ore di attesa, braccia che hanno sgrassato via il nero e con quell’istinto – che appartiene solo ai buoni – di salvare chi non riesce a farlo da solo.