Al National Bonsai & Penjing Museum di Washington è possibile ammirare tantissime tipologie di piante nane. Ogni anno l’Arboreto Nazionale degli Stati Uniti viene visitato da migliaia di persone, appassionate o semplicemente curiose. Tutto apparentemente normale, insomma, se non fosse che nel 2001, tra tanti visitatori, ve ne fossero due speciali, provenienti dalla città di Hiroshima, in Giappone: Shigeru e Akira Yamaki.
I due fratelli si trovavano in vacanza nella capitale degli Stati Uniti e colsero l’occasione per fare un giro al museo nazionale di bonsai. Una volta dentro, furono attratti dalla collezione giapponese. Iniziarono a scrutare attentamente i vari esemplari finché la loro attenzione non fu carpita da un pino bianco giapponese. Rimasero con gli occhi fissi su quel piccolo alberello alto poco più di un metro, con il tronco spesso, le incrostazioni e le storture. C’era una targhetta che ne illustrava la storia e la data di nascita: 1625.
Shigeru e Akira iniziarono ad accarezzarlo con gli occhi, come se fosse qualcosa di più di un semplice bonsai. Una guida del museo si avvicinò e iniziò a raccontare ai due fratelli la storia di quel pino.
Si trattava di un dono che il museo aveva ricevuto nel 1975 da un coltivatore giapponese di bonsai, il maestro Masaru. Il pino era stato un omaggio per il bicentenario della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, come segno di pace e di connessione tra due culture così lontane come quella nipponica e quella nordamericana. I due fratelli ascoltarono fino in fondo le parole della guida fino a quando Shigeru non rivelò la loro identità. Erano i nipoti del maestro Masaru.
La guida fu colta da un leggero stupore a quella rivelazione, ma ciò che i ragazzi gli raccontarono successivamente lo fece letteralmente sobbalzare.
Sin dal 1625 il piccolo pino bianco era appartenuto alla famiglia Yamaki. Rappresentava la memoria collettiva della loro famiglia, facendone parte da oltre sei generazioni. Custode dei segreti familiari. Aveva vissuto oltre tre secoli nella città di Hiroshima e, in un certo qual modo, era parte integrante anche della storia della città. E non era tutto. Era un Hibaku Jumoku. Un Albero sopravvissuto.
Alle 8.15 del 6 agosto 1945 un enorme fascio di luce inondò la città di Hiroshima, radendola al suolo. Il rombo che si udì fu spaventoso. L’onda di calore sprigionata bruciò l’aria, rendendola irrespirabile. Un fungo atomico di gas e detriti si liberò verso l’alto. La vita fu sopraffatta dalla morte.
La bomba a uranio “Little boy”, sganciata dal bombardiere statunitense B-29 Superfortress “Enola Gay”, fece oltre 70 mila morti in pochi secondi. Altre 70 mila persone persero la vita da lì a poco. Chi riuscì a scampare alla morte subì gravissime ustioni, frutto della pioggia radioattiva che scese dal cielo nero e torbido sopra la città nipponica.
Quando la “Little boy” toccò il suolo di Hiroshima, il piccolo pino bianco giapponese si trovava a una distanza poco superiore ai 3 chilometri, così come i componenti della famiglia Yamaki. Rimasero tutti illesi. Questo fu possibile grazie alle alte mura di cinta che proteggevano la casa del coltivatore, e al vivaio nel quale trovava posto il bonsai.